RAFFA, il ritratto inedito di un’icona senza tempo

Da venerdì 7 nelle sale padovane, RAFFA il docufilm che racconta la parabola artistica di Raffaella Pelloni, in arte Raffaella Carrà.

Daniele Lucchetti, che ne ha curato la regia, negli oltre 180 minuti del film racconta in maniera esaustiva e puntuale la storia dell’artista riminese (era nata a Bellaria) che proprio quest’anno avrebbe compiuto gli ottant’anni, esattamente come altri due celebratissimi miti, Dalla e Battisti.

Oltre 1500 immagini di repertorio e il racconto di chi l’ha conosciuta da vicino esaltano la figura di un personaggio diventato icona nazional popolare: Rosario Fiorello, Barbara Boncompagni, Salvo Guercio, Caterina Rita, un commosso Tiziano Ferro, Nick Cerioni, Enzo Paolo Turchi – che l’ha accompagnata in migliaia di balletti e Bob Sinclar, che ha realizzato un azzeccatissimo remix di uno dei tormentoni della Carrà – A far l’amore comincia tu – che spopola in tutte le radio.

Divisa in tre parti, la storia inizia con la partenza di Raffaella da Bellaria per Roma con la madre, in cerca di fortuna, ma in assenza del padre, che aveva abbandonato la famiglia disinteressandone totalmente (un richiamo, quest’ultimo, che durante il docufilm viene ripetuto più e più volte, a mio parere fin troppe. Come altrettante volte viene rimarcato il carattere deciso e autoritario della mamma).

Il racconto intreccia continuamente il “pubblico” e il “privato” di Raffaella dove, tuttavia, è sempre la Pelloni a prendere il comando sulla Carrà, determinata e ostinata a perseguire i suoi obiettivi, mentre della Pelloni privata non traspare praticamente nulla, tanto alto era il muro eretto dalla Carrà a protezione della sua sfera privata.

E così la sua trasferta in America, per tentare la strada del cinema, risulta una parentesi che non le dà troppa soddisfazione, mentre al ritorno in Italia, in Rai Raffaella porta innovazioni che a quel tempo fecero gridare allo scandalo i perbenisti: il balletto del “Tuca Tuca” con Enzo Paolo Turchi e l’ombelico in bella vista di Raffaella viene messo alla gogna dalla censura ma prontamente svincolato dall’Albertone nazionale che ne sdrammatizza il significato durante una famosissima puntata di Canzonissima del 1971. Lo sdoganamento dell’ombelico spiana la strada del successo alla Carrà che inanella un’affermazoone dietro l’altra. Finché non si stanca e cerca altri stimoli.

Si trasferisce in Spagna dove la accolgono grazie all’eco dei successi italiani e la fanno diventare immediatamente una star, anche a scapito delle artiste spagnole, che non la prendono proprio bene, ancora ingessate come erano nelle riproposizioni delle danze tradizionali.

E di nuovo il ritorno in Italia, in Rai, poi a Mediaset dove Berlusconi sta lanciando le sue tv con il “trash”che le ha contraddistinte e dove la Carrà ne diventa una (involontaria?) interprete.

E nuovamente il ritorno in RAI in una nuova veste e in una nuova fascia oraria. Con “Pronto Raffaella?” la Carrà entra nelle case degli italiani a mezzogiorno, orario assolutamente insolito per una show girl del suo calibro, che tuttavia – come le altre volte – aveva colto il momento di cambiare il proprio registro artistico. Un successo che la farà diventare sorella, mamma, moglie, compagna degli italiani incollati al teleschermo e con la cornetta in mano, nell’improbabile tentativo di indovinare il contenuto in fagioli della boccia di vetro. Con “Carramba che sorpresa” l’apice dell’ultima parte della carriera artistica di Raffaella che nel programma rivela tutto il suo lato umano nell’aiutare le persone a reincontrarsi e, in alcuni casi, a riappacificarsi.

Tre ore che passano veloci come una sorta di megaTecheté, che meritano la visione perché ci restituiscono una Carrà che non vorremmo dimenticare e far conoscere alle future generazioni.

Enrico Daniele

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